Fondamentale per la sopravvivenza da un punto di vista evolutivo, la relazione madre-neonato è uno dei legami più profondamente formanti per la psiche degli esseri umani.
L’instaurazione di questo rapporto così unico è spesso detta bonding e, a differenza di quanto si possa pensare, non è affatto unilaterale. In questo articolo approfondimento la natura del legame madre-figlio nella primissima infanzia, andando a scoprire come si forma e in che modo si può renderla fonte di benessere sia per la donna che per il neonato.
La relazione madre-neonato: un’esperienza diversa per ogni donna.
Il legame che si instaura tra una mamma e il suo bambino è diverso per ogni donna. Per alcune è forte e profondo già durante la gravidanza. Per altre, invece, si forma e solidifica man mano che la neomamma e il piccolo si conoscono e insieme crescono come individui. In ogni caso, la relazione che lega un neonato ai suoi caregiver, particolarmente quando il piccolo viene nutrito al seno, è fondamentale, non solo per la sua sopravvivenza, ma anche per lo sviluppo.
È il caso di sottolineare, comunque, che il bambino può naturalmente attaccarsi anche a diverse persone: a cominciare dal padre fino a nonni o zii, questo legame può instaurarsi con tutti quelli che riconosce come caregiver.
In questo articolo, tuttavia, ci concentreremo sul legame che il piccolo instaura con la madre nel periodo della primissima infanzia.
La relazione madre-neonato nella psicologia moderna: la Teoria dell’Attaccamento
Quando si parla di legame madre-figlio e psicologia, il primo studioso a cui si potrebbe pensare è Sigmund Freud, complice anche qualche riminiscenza del suo modello pulsionale. Tuttavia, sebbene il padre della psicanalisi sia stato un pioniere dell’esplorazione di questa relazione, attualmente si preferisce far riferimento al lavoro di autori più moderni, primo tra tutti John Bowlby, che dedicò gran parte della sua carriera all’elaborazione della cosiddetta Teoria dell’Attaccamento.
Cos’è l’attaccamento: un legame che funziona in entrambe le direzioni
Volendone dare una definizione scientifica, per attaccamento si intende il legame emotivamente significativo di lunga durata che si instaura tra un bambino e la mamma, basandosi su scambi interattivi reciproci. Questi scambi sono una serie di comportamenti il cui scopo è mantenere la vicinanza verso una specifica persona, che il piccolo riconosce come caregiver in grado di gestire i suoi bisogni in maniera adeguata.
Sebbene la definizione possa suonare accademica – o persino un po’ fredda – da essa emergono due aspetti fondamentali che meritano di essere approfonditi:
- L’attaccamento è tendenzialmente selettivo: una volta instauratosi nei confronti di alcune figure, la loro assenza può causare sentimenti di angoscia.
- L’attaccamento non è univoco, ma entrambe le persone coinvolte, in questo caso madre e neonato, svolgono un ruolo attivo nell’instaurare la relazione.
Anche il bambino ha un ruolo attivo nella relazione madre-neonato
Il bambino comunica attraverso richieste e feedback per “istruire” la mamma su come prendersi cura di lui: se è semplice capire che, quando il piccolo piange, vuol dire che ha bisogno di qualcosa, altre interazioni, come ad esempio il sorriso, sono indicatori di benessere e soddisfazione altrettanto utili per comprendere in che modo accudirlo.
Con l’esperienza e la pratica, la mamma impara anche a riconoscere il pianto di fame da quello da sonno o da dolore, e così via. E lo stesso vale per il piccolo: quando piange le prime volte, il bambino non sa chi accorrerà a prendersi cura di lui. Anche lui impara a riconoscere le figure genitoriali attraverso l’esperienza.
Va da sé che, man mano che il bambino cresce, i canali che sceglie per comunicare evolvono di conseguenza, facendo sì che le sue richieste diventino sempre più complesse e comprensibili nell’immediato, e la mamma gli fornisce un feedback, correggendolo e ripetendo i fonemi perché possa impararli.
Le basi dell’attaccamento madre-figlio
Ma perché questo legame è così importante? Per comprenderlo è il caso di ragionare in termini evolutivi, mettendo a paragone la nostra specie con altre del mondo animale.
I cuccioli d’uomo, in effetti, vengono al mondo in uno stadio molto meno avanzato rispetto a quello di altri mammiferi. Non solo non sono in grado di procurarsi nutrimento da soli, ma per lungo tempo non apprendono neppure a stare in piedi o spostarsi autonomamente.
Questo vuol dire che le madri non hanno solo il compito di soddisfare i loro bisogni primari, come nutrirli e proteggerli dai pericoli, ma anche di trasportarli e schermarli dal freddo. E questo continuo contatto fisico – poiché logisticamente il modo più efficace di trasportare un neonato o di scaldarlo è prenderlo in braccio – contribuisce a creare un legame di vicinanza che aiuta il piccolo a riconoscere e imitare molti comportamenti: respirazione, vigilanza, socialità sono alcuni di questi.
Come per la comunicazione, anche i comportamenti legati al movimento e alla consapevolezza di sé nello spazio mutano man mano che il piccolo cresce: all’inizio è del tutto dipendente dai genitori, pian piano apprende come aggrapparsi a loro quando viene trasportato, poi impara a muoversi autonomamente. È una meravigliosa giostra di dare-avere nella quale sia il piccolo che la mamma apprendono sempre più l’uno dall’altra.
Uno dei momenti più intensi del bonding: l’allattamento
Uno dei momenti di più intenso bonding è quello dell’allattamento. Si tratta di un contatto intimo, primitivo – nell’accezione più vitale del termine – nel quale la mamma si prende cura del piccolo fornendogli esattamente ciò di cui ha più bisogno per la mera sopravvivenza. C’è qualcosa di più ancestrale di questo?
Se poi l’allattamento avviene con un contatto di pelle, il neonato impara a riconoscere attraverso l’odore la persona a cui è più legato, ne ascolta il battito cardiaco, che gli teneva compagnia nell’utero, e diventa parte di una dinamica profonda, fatta di una comunicazione spesso inaccessibile agli altri.
Tutti questi aspetti sono uno dei motivi per i quali, a volte, un bambino smette di piangere solo in braccio alla mamma, poiché è quella la persona che riconosce come caregiver primario, è a lei che è più attaccato.
Fondamentale, quindi, è rendersi conto di quanto questo legame sia biunivoco e profondo e quanto esso sia basilare per un sano sviluppo – sia fisico che psicologico – del piccolo, ma anche della madre, per la quale l’esperienza della maternità può diventare fonte di gioia e meraviglia.